La paura dei fantasmi
- Dettagli
- Categoria: I racconti di Michel
- Pubblicato: Martedì, 12 Aprile 2022 15:08
- Scritto da Super User
- Visite: 301
La paura dei fantasmi
Mamma mi ha detto di pensare ad una storia da raccontare a papà quando tornerà. Sono passate ore da quando è uscito stamattina e ora il sole è quasi scomparso sotto l’orizzonte. Vorrei poter prendere il sole per mano e aiutarlo a non annegare nel mare della notte. Se potessi farlo, papà avrebbe ancora un po’ di luce per tornare. Però posso solo sperare che questi raggi arancioni resistano ancora un po’, giusto in tempo per farlo arrivare qui. Spero però che non torni proprio ora, non ho ancora pensato alla mia storia. Non so perché mamma voglia che racconti qualcosa, qui sono tutti così tesi. Almeno avrò qualcosa da fare, qualcosa per tenermi occupato.
Non so proprio cosa inventarmi. Solitamente avrei tante cose da dire su quello che succede a scuola. Il maestro che ci ha spiegato un’operazione nuova, il mio compagno di classe che mi ha raccontato una barzelletta, gli uccelli che ho visto fuori dalla finestra. Ma sono settimane che non vado più a scuola. Eppure avrei dovuto fare la quarta elementare, chissà ora quando mi ci faranno tornare. Non mi sarei mai aspettato di dirlo, ma vorrei tanto stare di nuovo tra i banchi, anche se poteva essere noioso. Qui invece è tutto noioso. Il palazzo Barberini di Palestrina non ha proprio niente di divertente. Ci sono tante cose vecchie che io non capisco. Il maestro diceva che la storia era importante, però vederla tutti i giorni mi sembra proprio eccessivo. Alcune statue sono belle e all’inizio mi facevano sentire come un principe nel suo castello. Però i principi hanno delle responsabilità e con tutte le esplosioni che sento, preferisco non avere nessuno da gestire. Per passare il tempo ho provato anche a contare le tessere del mosaico tanto famoso che è qui, ma perdo sempre il conto dopo sessanta. Rappresenta un fiume che, mi ha detto mamma, si trova in Antico Egitto, dove nuotavano i faraoni. Ci sono le barche, gli animali, anche i coccodrilli, ma ormai lo conosco a memoria. Sono sicuro che il maestro si arrabbierebbe se gli dicessi che mi sto annoiando a stare al museo. Però forse si arrabbierebbe di più con tutti quelli che accendono i fuochi e rovinano i reperti. Anche papà l’ha fatto ogni tanto, ma io non glielo dirò.
Vedo solo la testolina del sole fare capolino sulle case, o quel che ne rimane, e io ancora non ho la mia storia. Devo assolutamente pensare. Della scuola non posso dire nulla purtroppo. Se solo i miei amici dormissero anche loro qui nel palazzo, sicuramente mi aiuterebbero. Loro hanno trovato casa fuori da Palestrina. Vorrei essere arrabbiato, forse un po’ lo sono, ma soprattutto vorrei essere con loro. Forse dove sono loro non si sentono le esplosioni assordanti che fanno male alle orecchie. Forse loro non tremano come me quando nessuno accende un fuoco. Forse loro possono stare vicini alle finestre senza paura che i vetri si frantumino per gli scoppi. Ma io sono qui, nel palazzo in cui non volevo mai entrare.
Ecco! La storia perfetta! Questo palazzo è pieno di fantasmi, nonno mi raccontava sempre le loro storie. Spero solo che i miei genitori non si spaventino dopo averla sentita. Papà sicuramente non lo farà, solo i più coraggiosi escono fuori, gli altri hanno troppa paura. Mamma però potrebbe. Non dorme quasi mai ultimamente, è sempre preoccupata e non mi lascia mai solo. Chissà, forse sono proprio i fantasmi che la tengono sveglia. Magari se le racconto le storie che nonno mi ha detto e ci rido su, lei si renderà conto di quanto siano sciocche e smetterà di preoccuparsi tanto.
Devo sforzarmi un po’ di ricordare. Ricordo che mi disse che il custode cantava ogni notte per scacciare gli spiriti. Forse mamma capirà perché qualche anno fa la supplicavo tutte le sere di cantare prima di darmi la buonanotte, che imbarazzo. Dovrei iniziare a cantare, così anche lei sarà più tranquilla e potrò ricambiare il favore. Potrei farlo, anche se un po’ mi vergogno con tutte le persone che ci circondano. Quanto vorrei essere a casa, soli e al caldo. Però siamo tutti qui. Io, mamma, papà, la vicina con sua nipote, il proprietario del negozio di fronte casa e tante altre persone che non conosco. Chissà se loro hanno sentito le storie sui fantasmi, forse quando la racconterò mi vorranno sentire anche loro. Se fosse così, mi devo preparare bene, non voglio fare brutte figure.
La storia del custode non basterà. Racconterò anche delle processioni di figure bianche che si sono viste. Quando mi ha parlato di questi avvistamenti mi sono spaventato davvero. Anche dopo aver fatto cantare mamma non riuscivo ad addormentarmi. Scambiavo tutte le cose per fantasmi. Le tende che si muovevano, la luce che entrava dalla finestra, ogni tanto anche una maglietta bianca che mamma non aveva ripiegato nel cassetto. Se gli spiriti mi avessero preso con loro sarei stato costretto a fare processioni tutte le notti. Ero proprio terrorizzato, così come quando nonno mi raccontò delle persone che sentivano catene sferragliare oppure pianti acuti. Ero convinto che non appena li avessi sentiti, sarei stato rapito o anche peggio.
Ora però non ho più paura dei fantasmi. Vorrei tornare ad averla. Quando ho scoperto che saremmo dovuti andare a dormire qui, nel palazzo infestato, ho pianto per una settimana intera. In realtà, anche se un po’ mi vergogno a dirlo, ho pianto anche per altri motivi. Non volevo più sentire quel rumore tremendo e poi quelle esplosioni. Solo al pensiero inizio a tremare.
Sono settimane che sono qui e di esplosioni non ne sento più tante, ma almeno la paura dei fantasmi mi è passata. Non li ho mai visti durante tutte le notti che ho dormito qui. Mi domando dove siano finiti, perché ci devono pur essere stati, altrimenti tutti avrebbero mentito. Chissà, magari hanno sentito le bombe e si sono spaventati anche loro. Adesso saranno lontani da Palestrina, alla ricerca di qualche altro palazzo da infestare. Che maleducati, avrebbero potuto portarci con loro, o almeno salutare. Forse sono andati a visitare il fiume dell’Antico Egitto che erano stanchi di vedere solo su un vecchio mosaico. Oppure vogliono trovare affreschi più belli. Non credo ci riescano e se ci hanno lasciato senza nemmeno un ringraziamento per l’ospitalità forse se lo meritano. Magari i fantasmi hanno paura delle persone quanto le persone ne hanno di loro e sono scappati per questo. L’unica cosa sicura è che non sono più qui e che io vorrei essere con loro. Vedrei tutti i posti di cui ci parla il maestro, come il Colosseo di Roma, dove magari un loro amico gladiatore mi sfiderebbe a duello, oppure i templi della Sicilia, dove potrebbero anche presentarmi qualche filosofo capace di spiegarmi la matematica. Sarebbe davvero bello, però se ne sono già andati. Eppure qui non canta mai nessuno per scacciarli. Sono tutti in silenzio oppure piangono.
Mentre pensavo alla mia storia e ai fantasmi il sole è andato a dormire, ma papà non è tornato. Inizio a preoccuparmi e a sentirmi assonnato. Vado a cercare mamma, forse lei sa qualcosa.
La vedo nel solito posto, con le mani strette intorno ad un rosario e la sua bella faccia scavata da occhiaie. Sono sicuro che se vedesse la processione dei fantasmi ci si unirebbe subito. Quando mi guarda, i suoi occhi mi spaventano un po’. Sembrano nascondermi qualcosa. “Vai a dormire, tesoro, non c’è bisogno che aspetti papà sveglio,” mi dice prima che io possa parlare. Torna subito a mormorare le sue preghiere e io non voglio interromperla.
Non voglio addormentarmi, non senza aver raccontato la mia storia, però farò finta per non disubbidire a mamma. E pensare che era lei che ci teneva tanto che io inventassi questa storia. Gli occhi mi si chiudono, ma mi sforzo di tenerli aperti. Non posso dormire, devo prima vedere papà. Sono davvero stanco. Stamattina mi sono svegliato prima dell’alba perché aveva suonato l’allarme, però bastano altri pochi minuti di attesa. Papà tornerà presto. Un altro momento di sforzo.
Un’esplosione. Un boato che può frantumare il vetro e le montagne. Una scossa che fa tremare anche le mie ossa. Non sento più nulla, solo un fischio acuto che mi fa male alla testa. Mi guardo intorno, ma tutto è avvolto da una polvere giallastra. Mi dà fastidio agli occhi, ma riesco ad aprirli. Non sono più nel palazzo. O forse lo sono. Ci sono solo detriti, vetri, blocchi di cemento crollati. Mi giro intorno, ma fino all’orizzonte tutto è coperto da macerie. Non vedo più la mia piccola casa sopra un negozio alimentare. Non vedo più la mia scuola. Non vedo più nulla. Tutto è scomparso, sostituito da un fischio tremendo nelle mie orecchie.
Non ho paura dei fantasmi, ma ho paura che tutta la mia vita prima delle esplosioni sia diventata un fantasma. I ricordi sono come i fantasmi, si possono sentire, ogni tanto anche vedere, ma mai toccare. Non c’è più una scuola dove andare. Non c’è più un palazzo in cui dormire. Non c’è più una casa in cui sperare di tornare. Non c’è più una città in cui i miei amici torneranno quando tutto questo finirà. Non ci sono più mamma e papà a cui raccontare la mia storia.
Voglio solo piangere, ma quando porto le mani agli occhi per asciugarmi le lacrime, sono trasparenti come quelle di un fantasma.
Mi sveglio, urlando, con la faccia bagnata e i vestiti zuppi di sudore. Mi guardo intorno e ci sono gli affreschi e le finestre rotte e i fuochi che non andrebbero accesi e gli sconosciuti. C’è mamma che mi stringe cercando di calmarmi. E c’è papà che mi accarezza la schiena sussurrandomi che è tutto a posto. È tornato. Vorrei poter essere calmo, raccontargli finalmente la storia che ho passato la sera a pensare. Ma non riesco a smettere di urlare e piangere. Non riesco a smettere di pensare alla mia Palestrina ridotta a pietre. Solo i bambini piangono per un brutto sogno, ma non riesco a controllarmi.
Mamma mi stringe al petto, e io provo di nuovo a respirare. Il suo calore mi fa stare meglio, ma non riesco a smettere di far scendere le lacrime pensando a tutto quello che vorrei indietro. “Non voglio diventare un fantasma,” sussurro. “Non voglio diventare un fantasma.”
Michel Costantini