fiamme danzanti
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- Categoria: I racconti di Michel
- Pubblicato: Martedì, 13 Aprile 2021 14:08
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Fiamme danzanti
Il fumo si alzava fino alle nuvole grigie, una tempesta incombeva. I rombi di tuoni in avvicinamento erano accompagnati dalle grida rauche della ragazza legata al palo al centro della piazza. Le sue lacrime non facevano in tempo a scendere che venivano divorate dalle fiamme danzanti. Le unghie sembravano fondersi sulle sue dita mentre sprecava il poco fiato che le restava, ormai solo fuliggine, per implorare pietà.
La folla inveiva contro di lei. «Strega!» Sassi nelle fiamme. «Meretrice di Satana!» Qualcuno gettava dei rami per ravvivare la pira. Le fiamme crescevano, mai sazie di quel banchetto di carne e legno.
Il sacerdote stringeva il suo crocifisso dorato. Le sue labbra rugose si muovevano in una frenetica preghiera. Le sue dita nodose tremavano. «Dio perdono, Dio perdono» bisbigliava.
Una saetta brillante precedette la pioggia. Le persone si allontanarono, coprendosi il capo con le braccia. Il loro spettacolo era finito, il fuoco si stava estinguendo. Quando il rogo si spense totalmente, rivelò l’intero corpo della ragazza. La pelle annerita si era consumata tanto da rivelare le ossa, della chioma corvina non rimaneva altro che cenere.
Il sacerdote scrutò con diffidenza l’unica donna rimasta, sperava che quelle gocce che vedeva sulle sue guance fossero acqua piovana e non lacrime. Chi si dispiacerebbe per la giusta eliminazione di una sporca strega? Ormai la pioggia era fitta e si allontanò, dando un ultimo sguardo alla donna.
Quella lo guardò procedere claudicante fino alle alte porte della chiesa. Le ante pesanti cigolarono per farlo entrare. Si voltò di nuovo verso la ragazza, o almeno quel che ne rimaneva, e si scostò le lacrime da sotto gli occhi neri. Un’altra innocente data in pasto alla morte. Un’altra vittima di quella stupidità. Lei non poteva più accettarlo, in fondo era anche colpa sua, era stata giustiziata per un reato che lei aveva commesso. Dovette trattenersi per controllare i flussi di energia feroci che scorrevano nelle sue vene, già una volta si era lasciata andare e aveva davanti le conseguenze.
Per tutta la sua vita si era nascosta, non per vergogna, in lei c’era solo fierezza, ma per paura di fare quella stessa fine. Non sapeva se esistesse quel Dio che portavano al collo gli abitanti del villaggio, ma quello che sapeva era ciò che lei era in grado di fare. Le sue mani erano capaci di miracoli, non sapeva se venissero proprio da quel Dio, ma era arrivato il momento di usarli. Era stanca di rimanere inerme quando lei aveva così tante possibilità. Forse lei era la salvatrice di tutte quelle vite innocenti, forse era lei che doveva vendicarle. Quei testimoni che avevano incolpato una povera ragazza di stregoneria dovevano essere puniti. Meritavano una punizione, se quel Dio non aveva intenzione di darla, c’era lei, forse… forse era quello il suo scopo. Forse era quello il motivo delle sue doti.
Si asciugò di nuovo le lacrime, non c’era tempo per commiserarsi, doveva solo agire. Corse verso il bosco, la terra fangosa le macchiò la gonna. Lontana da quelle case sentiva già il suo potere crescere, ascoltando i sussurri di tutte quelle piante. Un grugnito la fece arrestare. Un’idea attraversò fulminea la sua mente. «La fortuna è dalla mia parte» sussurrò accennando un sorriso.
Attraversò dei cespugli e scoprì un cinghiale intento a mangiare delle bacche bluastre. Alzò il palmo, delle venature luminose percorsero la sua pelle. «Ascolta le mie parole, dolce creatura.» Il suino si immobilizzò come ipnotizzato. La donna si avvicinò ancora di più, accarezzando la corta pelliccia umida. Poggiò la fronte contro quella dell’animale. Tutta la rabbia, tutto il rancore che provava verso quei due testimoni si raggrumarono nel suo cervello. Dovevano soffrire.
Quando staccò la fronte e vide di nuovo il cinghiale, sorrise soddisfatta. Un nero pece tingeva la sua pelliccia e due rossi cerchi fiammanti roteavano intorno agli occhi. «E ora vai! Vai e portali da me!» ordinò. L’animale grugnì feroce e partì alla carica verso il villaggio.
La strega iniziò a camminare in cerchio, recitando delle formule con voce soave, il suo tono era dolce come in una nenia. «O albero, concedimi un po’ della forza delle tue vigorose radici. O terra, dammi appoggio in questa impresa. O erba, sacrifica il tuo bel colore per me.» Le venature luminose sulle sue mani brillavano sempre più forte, le gocce di pioggia risplendevano creando stupendi riflessi. Sul terreno si delineò un disegno di luce che poi scomparve.
La donna si portò le mani al petto. «Mi dispiace…» disse asciugandosi le lacrime. Vendicare quella povera ragazza era il minimo che poteva fare dopo quello che le aveva fatto. Voleva solo guarire la madre sofferente, ma era stata incauta. Una malattia non sparisce in un giorno, l’aveva salvata da quel male tremendo solo per farle vedere la figlia venir rinchiusa e torturata.
Il rumore di passi la fece tornare alla realtà e si nascose dietro un albero. Il cinghiale inferocito passò al suo fianco rapido, scomparendo nel buio della foresta. I due testimoni ed il prete si fermarono per riprendere fiato.
«Venerando Padre, lo abbiamo perso di vista» disse uno dei due, tendendo la balestra.
Il prete lo guardò con rabbia. «Incapaci, quella bestia del diavolo ci tormenterà. Che il buon Dio ci perdoni.»
«Cosa facciamo, Padre?» chiese preoccupato l’uomo più basso.
Il sacerdote si girò con sdegno, facendo segno di seguirli per tornare indietro.
Le labbra della strega si schiusero e le sue parole si propagarono in ogni goccia di pioggia, come un coro di mille voci. «Fermi!» Il trio sgranò gli occhi con un sussulto.
La donna strinse i pugni e delle radici sfondarono il terreno, afferrando le gambe degli uomini. Come un serpente che stritola la propria preda li portarono a terra, avvolgendoli in spire. Non importava quanto si dimenassero, non potevano sfuggire da quella morsa.
«E ora danzate!» L’ordine echeggiante diede fuoco all’erba nel cerchio che aveva descritto. I corpi degli uomini furono coperti dalle fiamme.
Le loro grida furono soffocate dalle radici, che graffiavano le loro labbra. La lana ruvida dei loro vestiti premeva contro la loro pelle mentre si incendiava.
Quando anche quelle fiamme cessarono di bruciare, la donna uscì dal suo nascondiglio, passando vicino ai tre cadaveri. La mano del sacerdote le afferrò la caviglia. Si girò di scatto, guardando il corpo ustionato.
«Tu… tu sei la strega! Dio… ti maledica» sospirò il prete con una voce a malapena udibile. L’oro incandescente del suo crocifisso marchiava il suo petto.
La donna scosse il piede, liberandosi dalla debole presa. Procedette indifferente verso il villaggio, sporca di cenere. Un’orda di vermi sbucò dal terreno famelica, ricoprendo istantaneamente i cadaveri. Ogni lacrima che cadeva sul terreno faceva sbocciare una minuscola margherita. «Mi dispiace…» sussurrò, le urla di quel giorno rimbombavano nella sua testa.
Michel Costantini