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Pietra immortale

Pietra immortale

Le lacrime scendevano sulle guance di Medusa. Deglutì per mandare via il singhiozzo che sembrava soffocarla, ma era inutile. Scivolarono fino al mento unendosi in una tremolante goccia e poi caddero nello stagno, increspandone la superficie. Dopo poco il riflesso si riformò. Medusa lo guardò con disprezzo. Non avrebbe mai dimenticato ciò che le era accaduto. Le mani di quel dio che non si fermavano, che la afferravano avide. La pelle che avevano toccato si era trasformata in squame, bianche come le nuvole, ma la sua purezza le era stata strappata. Le grida di aiuto che avevano graffiato la sua gola ancora risuonavano nelle sue orecchie. Scosse la testa e i serpenti sibilarono, muovendosi inferociti. Si inginocchiò, accarezzandosi le squame sulla coscia, gli artigli sobbalzavano su ognuna di esse. Aveva urlato così tanto, ma quando qualcuno aveva finalmente sentito la sua supplica, l’aveva guardata con disgusto e trasformata in un mostro ignobile. Era rimasta per ore tremante, mentre la sua pelle si contorceva nella metamorfosi e la sua testa si apriva per far uscire decine di spire.

«Perché a me

Afferrò con una mano un pesce dallo stagno, conficcando gli artigli tra le belle squame rosse, quello si dibatté boccheggiante. Lo guardò dritto negli occhi, le sue lacrime divennero sangue, mentre il corpo dell’animale si induriva, perdendo la tinta scarlatta. Dopo pochi secondi non rimase altro che pietra, priva di ogni colore. La scagliò contro una delle tante statue che la circondavano. Non riusciva a sopportare quei volti colti nel terrore. Quelle espressioni disgustate erano la sua unica compagnia. Lei cercava di coprirsi gli occhi, ma anche se poteva non sembrarlo, era ancora umana. In quell’istante in cui sentiva che la spada stava per raggiungere il suo collo, non poteva controllarsi, era istinto. Si pulì il sangue dalle guance.

«Perché a me

Uno scricchiolio di rami la fece voltare di scatto e i serpenti si misero in guardia silenziosi. Ecco il prossimo uomo in cerca di gloria, pronto a uccidermi, pensò. Ma si sbagliava.

Dei gemiti seguirono i passi. «Aiuto, qualcuno mi aiuti!» balbettò una voce.

Medusa fece qualche passo incerto tra l’erba alta e provò a scorgere chi stesse parlando, era disarmato. Nascose subito gli occhi con una mano. «Chi si avvicina alla mia casa?» domandò con esitazione.

«La prego, i miei occhi sono stati feriti. Vago da giorni, ma non ho trovato nessuno. La prego, mi accolga, per il buon Zeus» implorò il ragazzo, cercando di avvicinarsi alla donna che aveva parlato.

Il nome del dio la riempì di collera. Tutta la stirpe divina era malvagia, ma gli uomini non erano dei. Si domandò se potesse fidarsi. Dubbiosa, fece qualche passo nella direzione dell’uomo minuto e snello, coperto da una tunica consunta. Voleva vedere l’intruso, ma serrò più stretto le palpebre. «Non mi faccia pentire della mia ospitalità.»

L’uomo si girò verso di lei, ancora in ginocchio. Tastando il terreno, sfiorò un sandalo di Medusa, alzò la testa. «La ringrazio, che gli dei la benedicano.»

La donna si guardò il piede sorpresa dal contatto, incrociò lo sguardo dell’uomo e rimase immobilizzata. Il sangue sgorgò dai suoi occhi. La sua maledizione avrebbe rapito un’altra vittima, non poteva perdonarselo, ma non poteva neanche evitare che accadesse. Si arrese, pronta a punirsi per la sua mostruosità.

Il ragazzo continuò a fissarla con gli occhi ridotti a fessure. Ma non succedeva nulla, il corpo rimase di carne.

«Come è possibile?» sussurrò confusa Medusa. 

«Di cosa parla?» chiese l’uomo.

La donna accennò un sorriso, gli occhi si inumidirono. Era riuscita a non far del male, forse era un segno. «Nulla. Forza alzati, immagino tu debba riposarti. Preparerò qualcosa.» Il ragazzo si mise in piedi barcollante. Medusa lo vide e gli afferrò la mano con delicatezza, facendo attenzione a non toccarla con gli artigli. «Da questa parte».

Dopo aver cenato, guardò il giovane sul lato opposto della tavola con malinconia. Erano anni che non rivolgeva parola a nessuno. Ora qualcuno la stava trattando per la prima volta come una normale ragazza, ma solo perché ignorava la sua vera natura. La sua vita era stata stravolta ed era il primo momento di tranquillità che assaporava in anni, ma i sibili nelle orecchie le ricordavano ciò che era.

«Vorrei sdebitarmi in qualche modo. Spero che possa accettare questo» proruppe l’uomo dopo alcuni minuti di teso silenzio. Slacciò una lira da dietro la schiena e iniziò a pizzicare le corde con maestria. 

Medusa lo guardò con stupore. Non aveva mai sentito una musica così bella e quando si aggiunse la voce del ragazzo, la sua pelle rabbrividì. Era magnifica. 

«O musa, cantami delle gesta e della gloria, cantami della bellezza e della storia, dei mille eroi la cui memoria mai reclamerà la Moira…»

La narrazione accompagnò tutta la sera dei due. Anche se privato della vista, le dita agili del ragazzo suonavano perfettamente. I lunghi capelli biondi ondeggiavano con i suoi movimenti. Medusa era totalmente persa in quella visione, tutta la stanza sembrava essere scomparsa.

 

Erano passati mesi da quell’incontro, i fiori erano sbocciati celesti in tutto il prato. I capelli biondi del ragazzo erano cresciuti fino alle spalle. Ma non c’era stato un giorno in cui non avesse suonato la lira, cantando degli incredibili viaggi dei mitici eroi di cui Medusa sembrava non stancarsi mai. 

«Ho pianto per tutto il tempo, era bellissima» rise la ragazza al termine di un racconto. Lo guardava con felicità, vicino a lui si sentiva… normale. Tutto il dolore che quelle mani violente avevano marchiato sulla sua pelle sembrava scomparire con un solo sorriso del ragazzo. Si domandava di che colore fossero gli occhi perennemente nascosti dietro quelle palpebre chiuse.

«Devo dirti una cosa…» disse con incertezza l’uomo. Medusa lo guardò con curiosità. «Io… riesco di nuovo a vedere.» 

Medusa sentì il suo animo infrangersi, mentre chiudeva gli occhi. «Devi andartene, è troppo pericoloso per te stare qui. C’è qualcosa che tu non sai» iniziò a farfugliare. L’ansia le rubava le parole. Anche se erano all’aperto, l’aria sembrava mancarle. «Io… io…» Un nodo le strinse la gola, mentre le lacrime le bagnavano il viso.

«Medusa, va tutto bene, lo so.» La donna si fermò sconvolta, lasciandosi cadere sul tronco su cui erano seduti. Sapeva il suo vero nome. «Conosco migliaia di racconti, anche la tua storia non mi è sfuggita, ma non mi importa. Le persone dicono tante falsità e cattiverie, ma io ho scoperto chi sei davvero.»

«Ma se mi guarderai… se mi guarderai…» Le parole della ragazza furono interrotte dalla mano dell’uomo che le sfiorò una guancia, scostando una lacrima. 

«Non mi importa, voglio che questo momento sia eterno» sussurrò e poi si protese in avanti.

Prima di poter replicare, le labbra di Medusa furono bloccate da quelle del ragazzo. Sgranò gli occhi, ma si abbandonò al bacio. Lo aveva desiderato a lungo, tutto il panico si volatilizzò.

Il ragazzo aprì gli occhi, verdi come le fronde più rigogliose dei boschi. «Sei bellissima

Medusa gli strinse le mani, che già iniziavano a farsi più grigie e rigide. Fissò con intensità il suo riflesso nelle pupille dell’uomo che amava. Le sue iridi brillanti le regalarono uno sguardo di addio. Il suo corpo iniziò a indurirsi.

La lira cadde dal tronco ai piedi di due statue, unite in un bacio gentile. Dei fiori bianchi sbocciarono tutto attorno, illuminati da un sole caldo. 

Michel Costantini

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